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Il valore delle informazioni
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Il valore delle informazioni
Nel mondo degli affari, le prestazioni ed i risultati ottenuti sono spesso misurati attraverso l'utilizzo di indicatori chiave di performance (KPI). I contact center, che svolgono un ruolo cruciale nella gestione delle interazioni con i clienti, non fanno eccezione. Abbiamo voluto approfondire l’argomento e, per esplorare il tema della misurazione delle performance, abbiamo intervistato Francesco Rosato (Uscito un agente se ne fa un altro?), esperto di contact center di successo con oltre trent’anni di esperienza nel settore.
Parlando di KPI e misurazione delle performance, qual è la situazione nei Contact Center?
Il Contact Center è senza dubbio una realtà in cui i KPI sono particolarmente variegati ed utilizzati in quanto vi si può reperire in abbondanza la materia prima necessaria, ovvero i dati.
È, infatti, il regno della statistica e questo per due motivazioni fondamentali:
Perché i KPI sono ritenuti fondamentali in un Contact Center?
I Contact Center sono strutture organizzative che devono realizzare un equilibrio tra dimensionamento, livelli di servizio e qualità percepita da un lato, e costi di gestione dall’altro. Si tratta di un equilibrio delicato e sensibile che deve rimanere costante nel tempo; ma i Contact Center operano in un contesto fortemente aleatorio perché i traffici da gestire non sono mai costanti e la forza lavoro è tipicamente soggetta a significativi tassi di turnover.
Quindi il rischio che il rapporto ottimale tra prestazioni e costi venga alterato è sempre presente e si deve monitorare costantemente lo stato della situazione, con un focus particolare su:
Come è possibile fare ciò e cosa si dovrebbe guardare concretamente dentro il Contact Center?
Innanzitutto, è importante cogliere quelli che sono i KPI più importanti, più significativi e più opportuni per monitorare la situazione in modo rapido e corretto.
È soprattutto fondamentale confrontare risorse che, pur essendo multiskill, abbiano un’operatività il più possibile omogenea tra di loro, in modo da poter isolare i benchmark di riferimento più corretti, come per esempio il livello della durata media di gestione di un contatto.
A questo scopo è essenziale disporre di dati che siano molto granulari: ad esempio, sapere quante chiamate sono state gestite da ogni agente per ogni tipo di coda, in modo da riuscire ad effettuare un confronto corretto anche in un contesto multiskill.
Granularità significa pure disporre di informazioni atomiche anche all’interno di ogni singolo contatto, come lo split tra i tempi (Ring, Talking, Hold, After Call Work) che costituiscono il suo tempo totale di gestione.
In aggiunta, sarebbe importante avere anche dati che completano le informazioni derivanti dalla fonia, come ad esempio:
In questo modo possiamo incrociare i dati di fonia con queste informazioni aggiuntive, arrivando così a poter determinare quale dovrebbe essere la durata di una “CHIAMATA OTTIMALE”, intendendo per “ottimale” quella in cui il cliente è stato servito in tempi rapidi e con cortesia, ha ottenuto chiare ed esaurienti informazioni e ha concluso la sua chiamata (o il suo acquisto) pienamente soddisfatto. Non è detto, pertanto, che la durata ideale del contatto corrisponda alla media del tempo di gestione espresso dai soli dati di fonia.
Ricapitolando: se osservo solamente i dati di fonia relativi agli operatori, scopro il tempo medio di gestione complessivo dei contatti di una determinata coda o esigenza; ma se ho la possibilità di accedere anche alle altre preziose informazioni esterne, posso scoprire il tempo di gestione medio degli operatori che hanno avuto successo rispondendo ai contatti di una determinata coda o esigenza.
Ed è questo il vero KPI, quella media ottimale cui si dovrebbe tendere.
Parliamo ora di volatilità: che cosa è e perché è una variabile così rilevante?
Per essere più rapidi nella ricerca di possibili aree di efficientamento nei tempi di gestione dei contatti, è molto utile analizzare la volatilità delle performances degli operatori, ovvero: una volta identificato un gruppo di operatori con attività il più possibile omogenea, si calcola quanto i loro tempi individuali si discostano dalla media del gruppo e si sintetizza il risultato di questo calcolo in un apposito KPI di “volatilità”.
Pertanto, un valore molto basso di questo KPI è un buon messaggio perché indica una performance molto simile tra gli operatori di quel gruppo; viceversa, quando si riscontrano valori elevati.
Questo KPI permette, quindi, a chi analizza le performances di evitare di perdere tempo osservando i dati di operatori che già si comportano in modo molto uniforme e di focalizzarsi subito su quelli che invece hanno performances molto diverse pur in un’attività simile, per capirne le ragioni e cercare di far sì che le prestazioni più distanti convergano verso la media (attenzione! sia quelle molto più elevate della media, ma anche quelle molto più basse della media: queste di norma sono indicative di comportamenti scorretti, come abbattere subito le chiamate ricevute).
La volatilità può, inoltre, offrire un’altra importante indicazione se accoppiata ad una visione dinamica nel tempo dell’evoluzione dei tempi medi.
Supponiamo che per un certo gruppo di operatori si noti, col passare dei mesi, un progressivo incremento del tempo medio di gestione complessivo dei contatti, accoppiato, durante il medesimo periodo, ad una costantemente bassa volatilità.
Questa situazione darà un segnale interessante: se il tempo di gestione medio complessivo aumenta nel tempo, pur in un contesto di operatori che si comportano tutti in modo molto simile, vuol dire che questo molto probabilmente non dipende dagli operatori, ma bensì da qualcosa di strutturale che sta avvenendo, come ad esempio una nuova procedura/applicativo per gestire quei contatti che richiede più tempo di prima. In questo caso, se voglio efficientare, devo quindi rivolgere la mia attenzione ai processi per capire se posso accelerare qualcosa.
Quali sono i motivi che portano ad avere volatilità?
Le prestazioni potrebbero essere volatili per diversi motivi, tra i più comuni ci sono:
Questo ci porta ad una considerazione importante, ovvero che il turnover in un Contact Center è una sorta di “male necessario” (leggi Uscito un agente se ne fa un altro?) che però va gestito nel miglior modo possibile, cioè in quantità ragionevole in rapporto ai tempi di formazione necessari e, in ogni caso, con programmazione.
Infatti, da un lato, il turnover distrugge le competenze acquisite e costringe a ricostituirle investendo in formazione; alti tassi di turnover sono quindi particolarmente dannosi e vanno evitati, ma sono dannosi anche bassi tassi di turnover se avvengono in modo improvviso e non programmato: è meglio perdere 10 operatori esperti su 100 non dall’oggi al domani, ma bensì dopo un mese che ho assunto i loro 10 sostituti e ho avuto il tempo di formarli un po’.
D’altro canto, il turnover è anche necessario: di solito “fare” Contact Center è un’attività che implica un lavoro sodo, costante e sistematico e, nelle aziende, è di norma riservato ai più giovani all’inizio della loro carriera; ciò significa che dopo un certo tempo di permanenza nel Contact Center gli operatori sentono il bisogno di cambiare attività/ambiente, se ciò non accade si demotivano e la loro performance si deteriora inevitabilmente.
Che relazione c’è tra ciò che abbiamo detto sinora e il dimensionamento di un Contact Center?
La relazione è molto forte: il tempo medio di gestione dei contatti è, tra tutte, la variabile più importante che deve essere considerata in qualsiasi calcolo o simulazione di dimensionamento.
Infatti, a parità di numero di chiamate in arrivo, possiamo avere dimensionamenti anche sensibilmente diversi in base al tempo medio di gestione necessario.
La capacità di saper determinare qual è il tempo medio di gestione “giusto” diventa quindi fondamentale.
Come dicevo prima, si può ricavare questa informazione in modo selettivo per code ed esigenze utilizzando opportunamente i dati di fonia e, in presenza di bassa volatilità, possiamo anche essere ben confidenti che si tratti di un valore affidabile; ma, come visto, si può fare un ulteriore passo in avanti: incrociare i dati di fonia con quelli derivanti da altri strumenti, ad esempio lo Speech Analytics, per poter estrapolare il tempo medio di gestione del sottogruppo di operatori che ha reso i clienti “felici e compratori”.
È quest’ultimo il vero tempo “giusto” che dovremmo utilizzare per i nostri calcoli di dimensionamento (e ovviamente anche quello cui far tendere tutti gli operatori) perché rappresenta la sintesi del miglior mix di preparazione e di efficacia commerciale.
Così facendo, a parità di livello di servizio e di numero di chiamate in arrivo, calcoleremo il dimensionamento necessario per un Contact Center che deve “gestire con successo il traffico”, e non semplicemente “gestire il traffico”.
Infine, concludo chiedendo: da quali sistemi potremmo farci supportare in queste attività? Prima parlava ad esempio di Speech Analytics…
Sì, certo, lo Speech Analytics è utile per osservare il nostro Contact Center da un punto di vista aggiuntivo, rispetto ai KPI standard che siamo soliti misurare; in questo caso andremmo ad analizzare direttamente la cosiddetta “voce del consumatore” e la qualità dell’operato dei nostri agenti, con tutti i vantaggi che ne possono derivare.
In aggiunta, è opportuno dotarsi anche di:
e per ultima, ma assolutamente non per importanza, l’expertise di chi il cliente l’ha vissuto!
Ringraziamo Francesco per il prezioso contributo!
E voi, siete certi di aver individuato correttamente la vostra “chiamata ottimale”?
#daivalorealtempo
MC
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